La rivista tedesca in lingua italiana “Adesso” dedica un articolo alle aziende italiane innovative parlando di Sòphia come una multinazionale ad alto contenuto tecnologico.

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Attraverso il suo racconto proviamo a comprendere un po’ meglio la scelta apparentemente irrazionale di un trentenne come Antonio Caraviello, che alcuni anni fa ha deciso di gettare alle ortiche un lavoro ben pagato in Germania, nel compartimento aerospaziale, per fondare, insieme con alcuni amici e colleghi, la Sòphia High Tech a Marcianise, in provincia di Caserta. In pochi anni di vita, la giovanissima impresa dell’ex cervello in fuga campano in strettissimo contatto con l’Università Federico II di Napoli ha sviluppato un know-how unico nel campo della progettazione meccanica, della simulazione strutturale, della produzione industriale e della robotica.

“Siamo passati da un fatturato nel primo anno di esistenza ammontante a 25.000 euro scarsi a un milione e due nel 2017. Questo ci ha permesso di assumere 20 collaboratori con un contratto a tempo indeterminato”. Caraviello, che è anche amministratore delegato dell’azienda, riassume così l’ascesa della sua creatura. La Sòphia High Tech sembra destinata a inserirsi nel solco di quelle realtà tutte italiane ad alta tecnologia e ridotte dimensioni che vengono chiamate “multinazionali tascabili”.Il fattore umano è l’alfa e l’omega di ogni azienda di successo, sia essa un’impresa di famiglia o un grande conglomerato.

Ne è perfettamente consapevole l’ingegnere Caraviello, che ha pensato bene di vestire tutto il suo team con una cravatta rossa, per presentarsi agli investitori unito e compatto. Una trovata pubblicitaria? Forse, ma anche un modo per rimarcare l’importanza dell’elemento umano e di una squadra affiatata anche quando si tratta di tecnologia d’avanguardia.

D’altronde, quando insistiamo per capire i motivi profondi del suo percorso controcorrente, capiamo che quella di Caraviello è stata innanzitutto una scelta del cuore, più che di mente: “Sono di Torre Annunziata, un paese in provincia di Napoli. E se Napoli è difficile, Torre Annunziata lo è ancora di più. Ci sono problemi legati alla camorra e alla malavita che piano piano lo stato sta cercando di risolvere”. Appunto, ribattiamo, valeva la pena di ritornare? “La vita in Germania, per un napoletano, è molto semplice, perché è una vita dove i mezzi funzionano bene, dove la puntualità regna sovrana e il lavoro che viene dato è un lavoro di tutto rispetto, in cui sono ben specificate le mansioni da svolgere.

Questa cosa va bene ed è perfetta per il primo anno, per il secondo anno, però per le persone che hanno voglia di crescere e capacità di mettersi in gioco, può essere limitante”. Al punto di voler tornare in una terra capace di tecnologia inaspettata, ma anche straziata dalla malavita, peraltro senza l’entusiasmo della moglie, che sarebbe stata ben felice di rimanere all’estero? “Sì, la mia è stata una scelta giudicata folle anche dai miei genitori, ma l’ho fatta per restituire qualcosa alla mia nazione e, in particolar modo, alla mia regione, che mi ha
dato tanto.

Inoltre sono stato abituato, sin da piccolo, al sacrificio. Sono capace di lavorare in condizioni difficili”. Considerazioni sorprendenti, tanto più sulle labbra di un trentenne, in grado di lasciare un retrogusto tanto d’ammirazione quanto d’amarezza.

Riportiamo questo testo come estratto dell’articolo pubblicato sul Magazine Tedesco in lingua italiana ” Adesso” 

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